mercoledì 11 giugno 2014

Nuje vulimm' na speranza pe campa' riman'


Per chi non ha vissuto almeno un giorno l’agonia napoletana, e per vissuto intendo essere radicati nel territorio, è difficile accettare una serie come Gomorra. O forse è più facile. È più facile rispetto a quei napoletani, come molti miei parenti e conoscenti, che non sono collusi, ma che troppo presto hanno accettato come fisiologica la convivenza con la malavita, che rifiutano di ammettere. Tornare a Napoli e vedere manifesti contro una serie TV mi fa ridere, anzi no, mi disgusta. E non perché sono profondamente grato a Saviano per quanto ha scritto. Ma per il fatto che amo così profondamente la mia terra che sono giunto al punto di odiarla.  Perché non un manifesto contro lo spaccio a cielo aperto, o contro i magnacci delle prostitute a Gianturco o contro i mille, milioni di magazzini, le centomila attività sponsorizzate e più dai clan, colme stracolme di gente ignara e no. I ristoranti lavatrice, producono tonnellate di tovaglie sporche e lavano quintali di denaro macchiato di sangue. Eppure solo scappando mi sono salvato, cosa sarebbe stato di me in quel pezzo di mondo? Non ho avuto il coraggio di restare e ribellarmi. Ho comprato più di una discografia in piazza Garibaldi, ho indossato più Nike io, (false) che Cristiano Ronaldo. Ho mangiato più mozzarella di bufala mafiosa (e chissà quanta diossina) che ogni altra forma di latticino. Ho visto e sentito vibrare l’aria sotto i colpi di pistola e di notte sotto fuochi d’artificio che annunciavano, e annunciano ancora lo sbarco di sigarette prima, ora chissà. Conosco gente che faticosamente ha acquistato casa ad Acerra ed oggi è costretta a scappare, dove poi, a Barra. Ho condiviso i banchi di scuola, quando questa non era utilizzata come laboratorio per confezionare dosi, con bravi ragazzi e con bravi – in senso manzoniano – che dovevano esser tenuti buoni, per questo non potevo mai tirargli un pugno o permettermi di alzare la voce, anche quando finivo nel bidone della monnezza.  Mio fratello vive ancora tra la Manifattura del Tabacco e il triangolo della Morte. È cresciuto lì ed è rimasto lì. Abbiamo giocato a pallone sotto i ponti della Residenziale perché non potevamo permetterci una stagione in una squadra di calcio giovanile della camorra; si è visto rubare una Uno regalatagli da nostro zio e minacciare con una pistola andando a trovare il nonno appena fuori la 167, per un Citizen. Ma è rimasto lì. E si sente toccato quando qualcuno gli spala in faccia la merda che ha sotto i piedi. Se ci sei dentro dopo un po’ non senti più la puzza, anzi ti da fastidio quando qualcuno, ribaltandola, la fa esalare.  Se ci sei dentro ti fa male se ti toccano il livido, che lasciato buono, è solo un segno sulla pelle.  Eppure ondeggia ancora tra il negozio in cui fa il commesso nel centro commerciale di Via Argine, che affonda ogni suo pilastro nella terra dei fuochi e nei soldi dei clan, e i concorsi nei vigili del fuoco, sperando di racimolare quanto gli serve per pagarsi la raccomandazione. Laureato con lode in ingegneria. Deve girare senza casco passando per la Villa con la vespa, rischiando la vita cadendo, con minor possibilità comunque di essere scambiato per un killer.  Non vuole lasciare Napoli, per mamma, per papà per quella nostalgia tipica dei brasiliani, dei meridionali, dei terroni del mondo come me. Napule è comme 'na vota ma nuje dicimmo ca adda cagna' , canta Daniele. Dubito che possa riuscirci in tempo utile a favorire il mio ritorno. Ma un giorno mi piacerebbe tornare e godere dell’aria di mare, vorrei scorrazzare nei pressi del litorale Domizio di sera senza paura. Godermi Spaccanapoli e fotografare Banksy senza timore. Perché Napoli non è solo Camorra, Diossina e Mandolino. E non basterebbe un post per elencare le sue meraviglie. Ti saluto con le parole di Nto e Lucariello. Ciao Napoli… 'e cose nun cagnano e nuje alluccamm'  sulo quand 'e guaje ce stann' tuccann'… Nuje vulimm' na speranza pe campa' riman'

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